sabato 2 novembre 2013

viva la bara!




Da tempo è prassi comune che durante i funerali all’uscita del feretro dalla chiesa scroscino lunghi applausi riservando quella che da sempre è una azione espressiva della gioia e dell’approvazione ad un momento che costituisce l’esperienza più dolorosa dell’essere umano.

i funerali di Anna Magnani nel 1973



Sembra proprio che esista una data precisa per l’inizio di questa usanza (tutta italiana)  segnata dal funerale di Anna Magnani nel 1973 a Roma.


Forse non è un caso che questo fatto si sia verificato solo pochi anni dopo che la Chiesa Cattolica ha riformato la liturgia dell'ufficio funebre con due provvedimenti  nel ’65 e  nel ’69  con i quali toglie la declamazione o il canto del Dies Irae  e del Libera me Domine, e cambia il colore dei paramenti utilizzati per la cerimonia esequiale.



partitura gregoriana del Libera me Domine


La sequenza del Dies Irae consiste in un componimento in forma rimata di origine medievale che veniva proclamato durante il funerale prima del Vangelo, mentre  il 
 Libera me Domine era inserito nel pio ufficio della sepoltura al cimitero. Entrambi parlano del giorno del Giudizio e della presenza dell’anima  di fronte a Dio utilizzando –ovviamente- i verbi al futuro, e seppur parlano del giorno dell’ira, erano in grado di suggerire la garanzia di una persistenza del soggetto dopo la morte.




Non  è bastato decolorare il paramento esequiale dal cupo nero al più leggero e più  vitale violetto per scolorire l’angoscia del nulla che la morte reca con sé.  



Questo addolcimento del rito funebre officiato dalla Chiesa va di pari passo all’incapacità (se non al rifiuto) della nostra società a dialogare con la morte.
 Non si termina più la vita in casa ma negli ospedali o nelle cliniche, e le funeral houses ci danno la possibilità di gestire tutto il più asetticamente e distante possibile.





scena dal film Departures di Yojiro Takita, Giappone 2008 
Anche la Tanatocosmesi  (trattamento estetico della salma per migliorarne l’aspetto)
e la Tanatoprassi (immissione di  un fluido conservante  che consente di ritardare per alcune settimane il processo di decomposizione) che prendono sempre più piede anche in Italia, paiono gli ultimi  tentativi in senso cronologico  di mascherare di vita la morte.



Davanti all'evento della morte si addice il silenzio, perché né la parola né l’animo riescono ad esprimerlo. 

Conviene dunque tacere. 
Ma tacere significa dar spazio al pensiero e non c’è  argomento più arduo da affrontare per l’uomo se non il senso della perdita della vita.

Busto di Platone, Roma, Museo Capitolino





Platone  nel Fedone  sostiene che la filosofia non consiste altro che nella costante preparazione dell’anima alla morte.


Non essendo più abituati a dialogare con la morte è inevitabile che assistendo al suo operare rimaniamo senza argomenti in un silenzio che non è meditativo ma soffocante, che dobbiamo a forza riempire con qualcosa. E il silenzio si spezza col chiasso, col fragore; in questo caso col rumore di un applauso.
C’è chi ha osservato che durante i funerali il battimani si verifica solamente se sono presenti delle telecamere o dei giornalisti. Non sono di questa opinione; forse questi elementi fungevano da innesco tempo fa agli albori del fenomeno, mentre oggi non servono come non serve più che il defunto sia un eminente uomo politico, o un noto artista o comunque un personaggio notorio. Oggi si applaude anche alla bara di gente comune, scomparsa per malattia, incidente o delitto. Non importa.
Jacques Louis David.  Morte di Socrate. New York, Metropolitan Museum
Ma perché i parenti non partecipano mai all’applauso ma solo chi è distante dai veri affetti quotidiani del defunto avverte questo bisogno?
In parte perché il battimani si accompagna alla curiosità malsana che attira in generale l’essere umano, ma soprattutto perché in tal modo i soggetti partecipanti al rito non strettamente coinvolti dal lutto si liberano dall’impaccio delle domande che la morte pone a ciascuno di loro.

E’ una fuga.
Una fuga teatralizzata e corale dalla nostra responsabilità di uomini pensanti.


Certamente l'applauso non può essere rivolto al morto per dirgli : ce l’hai fatta! bravo, hai recitato bene la tua parte;
ancormeno  per lodare ciò che ha combinato in vita perché questo comporterebbe la possibilità di fischiare e insultare le sue spoglie  in caso contrario…
Nemmeno si può tributare un applauso alla Morte mentre, analizzando la questione dalle prospettive materialistica e religiosa, sfugge ulteriormente il senso: chi crede che la morte sia la fine di tutto non può dedicare un ovazione a una non-esistenza, e per chi crede nella sopravvivenza dell’anima l'applauso suonerebbe come blasfemo.

Resta solo una motivazione:  il bisogno dei “rimasti” di interrompere l'assordante silenzio inquisitorio che provviene dalla tomba.

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