lunedì 30 settembre 2013

la giustizia semantica







Ancora una volta -l’ennesima -  i telegiornali e i notiziari on line o stampati  per dar cronaca di un brutale omicidio a sangue freddo hanno usato il verbo  giustiziare
Occorre domandarsi come può essere così banalmente usato a sproposito un termine che ha manifestamente, in modo quasi  ovvio, enunciato in sé stesso  il proprio significato?
La gravità dell’uso improprio ed erroneo di questa parola  è tanto importante quanto il numero elevato dei giornalisti  che ne parlano e ne scrivono favorendo con questa ignorante “leggerezza” un accostamento al concetto di “giustizia” a dei criminali che al contrario ammazzano, uccidono, sgozzano, tolgono la vita, sopprimono,  i loro rivali e la maggior  parte delle volte con l’aggravante  di una modalità di pura vigliaccheria, tradimento  o sopruso sconcertante.
miniatura dalle “Chroniques de France ou de Saint-Denis”, 1332-1350.

Perché associare al concetto di amministrazione della giustizia  i  crimini efferati compiuti da caini sempre e comunque al di fuori della legge e dei basilari concetti morali?
E’ tempo di ridare dignità alle parole; di riappropriarsi di termini appositamente coniati per stigmatizzare una precisa azione, una peculiare circostanza per essere in grado di parlare della realtà con cognizione.
Più volte, conversando su questo argomento,   mi è stato ribattuto:   « Ma tanto si capisce lo stesso…» .
Questo qualunquismo che segna un accontentarsi della mediocrità non fa onore alla completezza della lingua italiana, e, al contrario, nel tempo  la fa sprofondare  in un pantano che rallenta e immobilizza  il parlato quotidiano, lo riduce alla inespressività di uno stringato glossario preconfezionato entro il quale la sfumatura, l’espressione trovano la loro morte.

 Del resto ci siamo abituati in questi anni alla lenta agonia della nostra lingua della quale si smarriscono e si scordano i termini antichi per andare alla ricerca nevrotica di ibridi neologismi   derivati a forza dall’inglese e che suonano pure male ai nostri orecchi, (basti l’orribile scannerizzare! ) ma tant’è…  Così come ci siamo abituati al prorompere sul proscenio della cronaca (e di conseguenza nel parlato ordinario) di parole che insistono come tormentoni sulla bocca di politici e commentatori fino alla esasperazione.


Uno dei più gravi delitti del nostro tempo è il delitto semantico. 

Ci sono cose scomode da dire, che le parole della nostra lingua hanno fortunatamente la capacità di rivelarci in tutta  la loro importanza. Per questo a volte si tace, si usano eufemismi più comodi, meno “crudi”, più politicamente corretti e in pochi si accorgono che così facendo ci abituiamo a non chiamare le cose col loro nome e finiamo col non dialogare con la realtà che ci circonda, col non saperla più indicare con precisione.  Ma la” beozia” è un gran bel paese, nel quale tutti si vive tranquilli e ci si addormenta presto e felici perché la coscienza sarà più leggera convincendosi che abbiamo  “interrotto una gravidanza” e non fatto un aborto,  che abbiamo visto un “non vedente” e non un cieco nel bisogno della propria menomazione,
o un cavallo “a fine carriera” e non un animale oramai inservibile e da macellare.
Con questo fantastico stratagemma moderno anche lo spazzino troverà sonno dolcemente nella orgogliosa coscienza di essere un capace  “operatore ecologico” e la lingua italiana sarà “ingiustiziata” ancora una volta!

L'Italia dei nostri giorni: una "società impersonale"





 
Bruegel, la Torre di Babele
Il 25 Giugno scorso a Roma, il Censis (Centro Studi Investimenti Sociali,  un istituto di ricerca socio-economica fondato nel 1964)  ha organizzato una interessantissima  tavola rotonda dal titolo Fenomenologia della società impersonale (espressione usata da Simon Weil negli anni '30)
Un incontro al quale, oltre che il Presidente e il Direttore del Censis, hanno partecipato il Sociologo Franco Ferrarotti e Remo Bodei, filosofo presso la University of California.
L’analisi emersa dalla elaborazione dei dati raccolti è impietosa e severi e allarmanti sono i moniti lanciati dai relatori partecipanti.


Secondo Ferrarotti  quella nostra attuale è una società di deresponsabilizzati e  «rimbambiti». Cittadini regrediti in una specie di mondo infantile in cui ciascuno «nega per sé un progetto, un’idea di esistenza».
Neppure Remo Bodei  va leggero: secondo il filosofo siamo una società che ha smarrito qualsiasi «capacità immunitaria»  sotto i colpi di un continuo bombardamento di immagini operato da TV e web che ce le propone senza alcun confronto sulle idee e impedendo qualsiasi analisi o discussione finisce col far divenire «tutte le opinioni equivalenti».
Tutti guardano. Nessuno più ascolta, nessuno più legge.

Bodei riassume questi concetti con espressioni ancora più allarmanti: «Oggi ci si può domandare invano se esista ancora un’opinione pubblica», «se tutte le opinioni sono sullo stesso piano, perché agitarsi?».
Questo panorama non è altro che il risultato di una situazione culturale sconfortante.

Fra i 27 Paesi dell’Unione l’Italia è quella, insieme alla Romania, con la percentuale più bassa di laureati: 13,8% nel 2012. La Grecia ne ha 23, il Portogallo e la Slovacchia 17, il Regno Unito 35, la Francia 28, l’Estonia 32, la Bulgaria 20,7.

Italiani indifferenti alla lettura: sempre riferendosi ai dati raccolti nel 2012, ben il 54% degli italiani con più di 6 anni non ha letto nemmeno un libro.
Vittore Carpaccio,  Vergine in lettura
Washington-National Gallery of Art

 Già nel 2011 Tullio De Mauro aveva evidenziato come il 70% degli italiani si trovi sotto il livello di comprensione di un testo scritto di media lunghezza e difficoltà. Si registra il diffondersi di un analfabetismo funzionale
La società impersonale «non ha cultura sufficiente, non ha le parole per dire le cose, né in politica, né nelle situazioni affettive. I recenti fatti di cronaca violenta, l’esperienza nelle relazioni quotidiane ci dicono che tante persone sanno esprimere solo amore od odio, bianco o nero e non sanno più modulare le sfumature».
Ci limitiamo insomma a cliccare su un mi piace

Il gioco galvanizza e interessa sempre più la nostra società  «ma non il gioco che favorisce la socializzazione, ma forme di gioco che ci pongono da soli con una tastiera». Capita infatti che il 31,4% di genitori con figli sotto i 13 anni trovi il tempo per passare almeno un’ora al giorno con i videogiochi in solitario. E il dato non prende in considerazione i giochi online. Allo stesso tempo il 31,4% degli adolescenti afferma di avere amici che giocano on line a poker.





In Italia nascono ogni settimana quattro nuovi centri per il tatuaggio.
«Nella società impersonale la percezione di sé stessi, della propria identità in rapporto con gli altri è dunque insicura, poggia su fragilissime basi. Il corpo diventa allora il campo di costruzione dell’identità».
«I chirurghi plastici sono diventati i nuovi confessori cui confessare le proprie debolezze, le proprie ansie: uomini e donne vi ricorrono per accrescere la propria sicurezza sociale, la propria autostima».
Siamo terzi al mondo per numero di interventi rapportati alla popolazione.
Nel 2012 in Italia gli interventi di medicina estetica sono aumentati del 24,5%.




 
Benczúr Gyula (1844-1920), Narcissus , Magyar Nemzeti Galéria, Budapest
« Ecco il ritratto di una società deresponsabilizzata, costituita da narcisisti, scarsamente istruiti e demotivati socialmente, con una percezione della realtà condizionata dai media, che deformano la realtà anche nel fornire le notizie, al punto che le informazioni sulla cronaca nera hanno un peso nei notiziari fino a tre volte superiore a quanto ne abbiano realmente nella società ».

A questo proposito l’analisi di  Ferrarotti è cruda: «i media non mediano, non offrono chiavi interpretative. La lettura esige un confronto con se stessi e la costruzione di una tavola di priorità e di valori; l’audiovisivo offre un’immagine sintetica precostituita». «E la logica commerciale che anima i new media è promossa da coloro che chiamo i profeti della putrefazione accelerata della società». Una logica che riduce tutto a «un voyeurismo che è una forma di accettata irrilevanza sociale».



La Paura.  A fronte di un reale aumento della delinquenza  crescono le paure collettive. In vetta alla  classifica quelle per il futuro dei nostri figli e per la disoccupazione; quella di essere rapinati in casa è aumentata del 10%.
Cresce il pessimismo sul futuro, anche perché la gran parte degli italiani prevede un ulteriore slittamento etico: per il 55% aumenteranno le tangenti, come l'evasione fiscale (58,6%) e la pratica di accettare affari di dubbia committenza (59,8%).



I ritmi della vita sono sempre più pressanti e caotici e agli stessi ritmi rapidissimi nascono e muoiono i nuovi movimenti politici.  E poiché il 68% degli italiani è convinto che tra 5/10 anni saremo pesantemente dominati dai ritmi accelerati, aumenta il consumo di psicofarmaci: +16,2% di antidepressivi in 6 anni.




  «Pochi leggono, tutti guardano», ribadisce Bodei. «Allora il denaro trionfa su tutto, la democrazia entra in crisi e gli interessi di piccoli gruppi, diffusi con una logica mafiosa, sono destinati a trionfare», «L’antidoto deve venire dal basso - perché come sosteneva Hölderlin - lì dove maggiore è il pericolo cresce ciò che salva».
 «È la società che ha come simboli l’invidia e il livellamento», aggiunge De Rita (Presidente del Censis).

Pieter Bruegel, Invidia

Un quadro devastante.
Come uscirne?
Tanto Bodei che Ferrarotti, evidenziano la necessità di riscoprire le relazioni e il concetto di prossimo cristianamente inteso.  
«dopo 20 secoli il cristianesimo potrebbe non essere ancora iniziato». «Ciascuno di noi deve imparare a dare di più - conclude De Rita - ma il di più viene dall’alto, cioè da qualcosa che dà un senso d’anima».



sabato 14 settembre 2013

Silenzio e Paura




Viviamo in un tempo dominato dal frastuono, dalla cacofonìa, dalla chiacchera; in un’anarchia acustica che ci porta a far credere che il silenzio sia solo una interruzione, una parentesi tra un rumore e l’altro. La nostra civiltà ha acquisito una capacità di argomentare sopra ogni cosa e continuamente, talvolta fino all’esagerazione, sfiorando la psicosi, ma è una società chiacchierona che finisce col dire nulla.
Immerse in questo continuo vocio che ci ripropone sempre il generale, le persone hanno iniziato a perdere di vista l’essenziale finendo per  indirizzare le loro attenzioni e preferenze al superficiale


Agostino sosteneva che il silenzio appartiene alla struttura fondamentale dell’uomo.
Quindi non è assenza, ma una voce: la voce dei nostri pensieri. Non è un nulla, ma un  luogo dove entrare in noi. Ignorare questa dimensione essenziale è ignorare l’uomo.
Tutto questo fa paura all’uomo moderno che non ha più voglia di pensare e subissato da impegni e distrazioni ha smarrito quello che fa di lui ciò che è: il pensiero.



La voce alta segna oggigiorno l’esserci, l’esistere nel contesto sociale e stigmatizza il vincente.
Chi usa toni pacati non lo considera nessuno e viene bollato come allocco. 



Facciamo oramai parte di una società fondata sui decibel dove perfino il lavoro solitario e una volta silenzioso della casalinga oggi viene travolto dai programmi di cucina che devono lanciare i loro continui gridolini isterici ad ogni piatto cucinato con l’assordante sottofondo di battimano di attempate signore che tentano danze improbabili e grottesche al suono di una base musicale imposta dalla regia.
La paura, e oramai l’incapacità di rimanere ad ascoltare sé stessi, fa correre ai ripari masse di giovani che chiedono protezione dai baratri del silenzio a walkmen, agli Ipad. E’ la stessa paura che fa scappare patetici quarantenni e cinquantenni nelle discoteche per assicurarsi il giusto grado di frastuono che li preservi da una seppur minima autoanalisi e che si abbandonano all’urto di fragorose onde sonore, le sole capaci di agitare manichini senza personalità.
Ne Il tramonto dell’Occidente, Galimberti scrive: L’unica possibilità rivoluzionaria è affidata al silenzio.
E solo qualche anno fa il Cardinale di Milano Martini sosteneva che il maggior nemico di Dio non era l’ateismo ma il rumore.
Quanto si rivela oggi essere vera la massima di Pascal!:
Ho scoperto che tutta l’infelicità degli uomini proviene da una cosa sola: dal non sapersene restare tranquilli in una camera […]


Gabibbo hai davvero stancato!





Dal 1990 questo personaggio continua  imperterrito a rompere le orecchie degli italiani conservando inalterato il suo limitato e pedante cliché .
Nel 1991 (manco fosse assurto al ruolo di individuo) si è visto assegnare il Telegatto come personaggio rivelazione dell’anno!
Dalla sua nascita per lui non c’è stata la benché minima evoluzione tanto che assistere una puntata di questo fantoccio significa sorbirsi la pedissequa ripetizione verbale e mimica di scenette oramai  trite e ritrite.
non c'è limite al patetico...
D’accordo: l’utente si affeziona riproponendo “uno stile” immutabile, ma come ci si può abituare all’aura di grottesca banalità che ci viene consegnata dal Gabibbo?
E come si può ancora sopportare quella voce  roca  e i finti risolini e sghignazzi di sottofondo?
per non parlare della maschera stessa che stigmatizza tanto una inesistente creatività quanto il disarmante accontentarsi di un pubblico che si diverte nella sicurezza dello scontato e del prevedibile.
Besugo, rumenta, palanche, belandi, bella gente”:  ad ogni apparizione tv, con questo eterno intercalare accompagnato dal solito goffo agitare delle mani,  il patetico bambolotto  ci parla dei problemi  (molte volte gravi) di cui la nostra penisola è afflitta.
Ogni volta penso all’enorme incongruenza che ciò provoca: la denuncia di problemi essenziali e vitali per alcuni individui, presentati in modo così stupido e sgraziato.
come si riduce un uomo...


Ogni volta che incrocio per caso il fantoccio penso all’individuo che da anni gli da voce e chi dall’interno lo anima e mi chiedo come non possano sentirsi anch’essi degli stanchi pagliacci manipolati dalle “necessità” televisive.
 E’ mai possibile che Ricci, il creatore di questo personaggio, nella sua grande osannata e inesauribile creatività non si accorga di come sia oramai desueto  e stancante il Gabibbo?
A lui in ogni caso deve andare il ringraziamento per contribuire quotidianamente al rincretinimento della società italiana, al suo assuefarsi al preconfezionato e al bisogno di sentirsi gridare intorno nella volgarità e nella assurdità delle standing ovation che negli studi televisivi tributano onore (!) a simili banalità. A lui dobbiamo la sconcertante facilità con la quale Sindaci e Presidenti, Medici e Disoccupati, soggetti disperati per malattia o condizioni economiche si lasciano intervistare da uno stupido pupazzo precipitando così la loro denuncia o la loro personale tragedia in un anestetizzato e confuso messaggio.
Anche il dolore ha bisogno di dignità.